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a Roberto De Simone


La morte di Roberto De Simone è un’eco che risuona in un già esistente e doloroso vuoto. Piange, di e con lui, chi, da quegli anni, ha vissuto la definitiva capitolazione di un mondo che mai più sarà.
 
Non è una considerazione nostalgica, badate bene, e nemmeno un esercizio di facile pessimismo. Parlo d’altro.
Racconto di un tempo contadino in cui l’identità ci apparteneva come peso faticoso e brutale, che non ammetteva sconti quando affermava che “la terra è bassa” e lo faceva con tratti antiestetici e decisamente poco amichevoli, eppure, di pura lirica poetica, di verace quanto eterna bellezza.
 
Il Sud ha subito, almeno, due importanti e gravi furti.
Il primo fu commesso al tempo dei maledetti Savoia, che lo rapinarono economicamente dell’oro e delle ricchezze e, contemporaneamente, disintegrarono l’avanzatissimo tessuto economico-industriale che al tempo poteva orgogliosamente vantare.
Nel secondo, e ancora più doloroso scippo, "il Nord" disintegrò il tessuto connettivo immateriale delle culture.
Svuotò cioè le campagne, dilavando la bellezza di un’identità di terra, sole e mare illuminate da antiche divinità, strappando un filo ininterrotto che dal tempo dei primi ominidi unì i popoli italici ai greci e poi ai romani, i saraceni e i bizantini, i francesi e gli spagnoli. Sacrificò tutto questo nel nulla volgare di periferie inumane e anonime, della plastica in cambio del legno d’olivo, delle ceramiche colorate.
 
"Il Nord" bevve avidamente il sangue giovane di tradizioni antiche e bellissime, lasciandole deperire nei pochi vecchi rimasti nei paesi svuotati con la peronospora nei polmoni. Questo fu il deserto che il boom economico degli anni ’60 nascondeva con le sue promesse ipocrite. 
Di quelle generazioni, alcuni ragazzi, con una visione colta, immaginifica e vertiginosamente artistica, apparvero nel ribollente panorama italiano. Tra questi, due voci riuscirono a raccogliere da quelle ceneri il fuoco di una nuova e contemporaneamente antichissima identità: Pier Paolo Pasolini e Roberto De Simone.
 
Per tutti noi (io mi pregio di appartenere alla generazione che, di rimbalzo ancora negli anni ‘80 ha potuto guardare con i propri occhi certe realtà) fu una scossa di paurosa potenza.
Gli anni ’60 e ’70 furono un fuoco inarrestabile che divampò dagli studi di Carpitella e di Leydi, dalla diffusione delle registrazioni sul campo di Alan Lomax, dall’immenso lavoro di Dario Fo e Franca Rame, dalla nascita e l’esplosione del teatro sperimentale, della danza contemporanea, di decine di collettivi di ricerca, con l'arvo del vento rinnovatore del '68.
Roberto De Simone, nel 1967, fondò, insieme a Mauriello, D’Angiò e Bennato, la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Successivamente arrivarono gli immensi Peppe Barra, Fausta Vetere e Patrizio Trampetti.
De Simone riuscì a piegare quelle vocalità aspre e quei caratteri fortissimi a una rilettura compositiva originalissima che affondava mani e cuore nella tradizione musicale e teatrale seicentesca e settecentesca napoletana e, attraverso gli studi antropologici, ridisegnò una nuova e solida identità collettiva, archetipica, fondamentale per riconquistare la propria antica identità. Nel 1976, in un crescendo straordinario, scrisse una delle sue opere più universalmente conosciute: La Gatta Cenerentola.
Al Festival di Spoleto, dove fu presentata nel 1976, fu un terremoto epocale.
 
Dopo quel successo, il Maestro maturò la convinzione di aver raggiunto l’apice delle possibilità compositive per quel genere e, rompendo con la NCCP, rivolse la sua attenzione al teatro d’opera, con una sequenza di composizioni, direzioni e opere mozzafiato.
Questa è una lista rapidamente desunta dal web:
  • Mistero napoletano (1977): Opera teatrale che esplora le tradizioni sacre e profane di Napoli.

  • L'opera buffa del Giovedì Santo (1980): Commedia musicale che combina elementi dell'opera buffa con tradizioni pasquali napoletane.

  • Masaniello (1975): Opera teatrale basata sulla figura storica di Masaniello, leader della rivolta napoletana del 1647.

  • Requiem in memoria di Pier Paolo Pasolini (1985): Composizione musicale dedicata al poeta e regista italiano.

  • Populorum Progressio: Opera musicale ispirata all'enciclica di Papa Paolo VI.

  • Lauda intorno allo Stabat (1992): Composizione che rielabora il testo dello "Stabat Mater" in chiave contemporanea.

  • Eleonora (1999): Oratorio drammatico in memoria di Eleonora Pimentel Fonseca, figura chiave della Repubblica Napoletana del 1799.

  • L'opera dei centosedici: Opera teatrale che affronta tematiche sociali e culturali contemporanee.

  • Il Re Bello: Opera su libretto di Siro Ferrone, tratta da un racconto di Aldo Palazzeschi.

Adattamenti e Riletture di Opere Tradizionali:

  • La cantata dei pastori: Adattamento dell'opera sacra di Andrea Perrucci, rinnovando la rappresentazione tradizionale del Natale napoletano.

  • La festa di Piedigrotta di Raffaele Viviani: Rilettura dell'opera che celebra la tradizionale festa napoletana, enfatizzando gli aspetti musicali e folkloristici.

  • Eden Teatro di Raffaele Viviani: Messa in scena dell'opera con un'interpretazione che valorizza le radici popolari e musicali del testo originale.

  • La Lucilla costante di Silvio Fiorillo: Adattamento dell'opera teatrale del XVII secolo, riportata in scena con una nuova interpretazione.

  • Il Bazzariota, ovvero la dama del bell'umore di Domenico Macchia: Rilettura dell'opera che combina elementi comici e musicali.

  • Le religiose alla moda di Gioacchino Dandolfo: Adattamento dell'opera che critica i costumi ecclesiastici dell'epoca.

  • Le novantanove disgrazie di Pulcinella: Opera che esplora le vicissitudini della celebre maschera napoletana.

  • Mistero e processo di Giovanna d'Arco

Non sono presenti in questa lista gli straordinari studi su Mozart, Paisiello, Pergolesi e l'intero mondo, anche e soprattutto politico, a cavallo tra barocco e illuminismo. Riuscì così a riportare la cultura napoletana (e italiana) a vette straordinarie, lontane anni luce dalla macchietta autoreferenziale alla quale si era adagiata.
 
Poi i tempi moderni hanno falcidiato l’humus culturale necessario per l’impianto architettonico di tanta bellezza. Il teatro impoverito e abbandonato a sé stesso, è diventato il palcoscenico di divi televisivi e la televisione, in combinata con i social, ha sdoganato lo sterco per caviale.

Il Maestro De Simone ci ha lasciato, quasi dimenticato da tutti, a 91 anni col cuore trafitto dall’amarezza di una sconfitta non meritata, di una lotta bellissima e feconda che però non è riuscita a far spiccare il volo al nostro Paese, martoriato dalla sua ombra peggiore.

Tutti noi che piangiamo il Maestro e portiamo lo stesso graffio doloroso sul cuore, oggi siamo un po’ più soli.

Addio Maestro, sei stato un regalo all’anima di tutti.
Valerio Perla

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