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Azione/Reazione

  Azione/Reazione. Fermare il mare con le dita non si può e nemmeno svuotarlo col secchiello. Vallo a spiegare al bambino… No! Nemmeno le onde si possono annullare! Perché all’origine delle stesse c’é un vento lontanissimo che da brivido sul mare si è trasformato in onda. Impossibili da spiegargli sono le diverse maree e il flusso complesso delle correnti. La mar (Il mare), come la natura, non sono cattive e nemmeno ostili solo perché si dimostrano incompatibili con le nostre pretese. Questione di punti di vista. Questione di cosa mi focalizzo sia centrale e, fidatevi, l’umanità, non lo è! Tutte le volte che l’uomo lascia campo libero alla sua arroganza, al potere illusorio della tecnica al servizio del profitto inevitabilmente si scende un gradino. La natura, che è la vita stessa, è un sistema di impressionante complessità che non ammette cose umane come la stupidità, la cattiveria, l’ipocrisia. 
L’essere umano col suo raziocinio ha la presunzione di poter fare e disfare sulla base de
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Flussi e benedette turbolenze

  Uno studio su Nature descrive la perfezione e funzionalità delle turbolenze del flusso sanguigno nelle arterie aortiche dell’essere umano. Stupiscono sempre queste riprove sugli adattamenti funzionali, sulle invisibili correlazioni, sugli equilibri impalpabili. In qualche modo, spesso invisibile, ogni cosa ha insomma una logica, una funzione che esiste e agisce anche a nostra insaputa. Per ottenere questo, a madre natura, sono stati necessari milioni di anni di cambiamenti e relativi adattamenti, di errori e correzioni, ma... Niente! L’essere umano, come un adolescente non particolarmente dotato e con la velocità impressa dalla tecnologia, si illude di poter giocare a fare Manitú. “Ci vuol delicatezza, attenzione e molta pazienza” questo mi diceva mia mamma quando da piccolo mi insegnava a infilare il filo nella cruna dell’ago. Credo sia valida come lezione di vita perché così è in ogni cosa: ci vorrebbe il suo tempo. Senza barare! Perché a ogni azione corrisponderà una reazione. G

Scrittori, editor, writer coach, writing trainer…

Scrivere è cosa delicata e bellissima. Ci si “schiacciano” le ore guardando nel vuoto, oppure osservarvando ogni dettaglio da infiniti punti di vista e riconoscendo quale tra questi risuona abbastanza da trasformarsi in emozione; quali, la memoria e il tuo demone, si affannano a riproporti maniacalmente. Trasformare tutto questo in parole per alcuni è facile e per altri meno, ma rimane sempre una meraviglia in bilico tra equilibristi e domatori. Il proprio scritto, parlo per quel che mi riguarda, è quindi una continua sfida di sottili e impalpabili equilibri tra emozione e sottrazione, tra colore sottinteso e luce manifesta. Tutto questo, governato dai ritmi complessi scanditi dalle - per me incomprensibili - virgole, dai dubbi etimologici e grammaticali, dalla necessità di arrivare a una sintesi tra ritmo, melodia e armonia delle parole. Il risultato è sofferto e psichiatricamente in equilibrio tra convinzione e dubbio. Capirete quindi che una figura terza è esiziale. La complessità d

Quel che non sappiamo.

  Quel che non sappiamo e, ancor peggio, quello che presupponiamo di sapere, ci domina e inquina. Maledizione! “So di non sapere” pare dicesse Socrate, un paradosso potentissimo, che ribolle di autoironia e quindi di intelligenza sottile e acuminata.
 Uhhh quanto ci prendiamo sul serio alle volte! Con le nostre convinzioni granitiche, con la necessità di costruirci l’altarino dal quale bacchettare sentenze e incolonnare i buoni e i cattivi, il giusto e lo sbagliato. Mettiamoci anche il carico degli anni che ci illude che tutto abbiam già visto e tutto comprendiamo…
 Che pretese di sapere ci hanno inculcato? A quali insicurezze abbiamo permesso di dominarci così tanto? Quali sono i cattivi maestri (quelli sì da scrivere sulla lavagna!) che sono scivolati, che hanno disatteso, frainteso e infine annichilito i nostri talenti, le nostre possibilità? La nostra inestimabile “Recherche”. Ho troppi anni addosso per non vedere alle mie spalle tutte le certezze naufragate e trasformate, i fecond

La bellezza degli sbagli.

  "Rimandare è la scusa dei perdenti! I vincenti non hanno paura di perdere! Trasforma i tuoi problemi in vittorie! I vincenti sono persone determinate! Sei nato per vincere, devi pianificarlo, prepararti e aspettarti di vincere!   I vincenti fanno quello che i perdenti non vogliono fare, I perdenti si fissano sui vincitori, I vincenti non mollano mai!" Bene! Anzi... Male! Dopo questa sacchettata di velenoso letame motivazionale e profondo disagio psicologico, ragioniamo. Anche basta con questa favola orribile dei vincenti e dei perdenti. Questa robaccia genera solo sconfitti. Fatevene una ragione. Oggi voglio parlarvi dell’importanza degli errori, dei tentativi mal riusciti, delle situazioni spurie ma NON dalla solita e altrettanto tossica visione individuale ma, invece, dalla decisamente più importante, visione collettiva; quella che cambia i destini attraverso la potenza e la diversità delle sue storie. Partiamo dagli Stati Uniti dell’immediato dopoguerra animati dal

Quel che vale

  Vale più ciò che cerchiamo di afferrare senza riuscirci, quello che non possediamo, quello che ci sfugge per come siamo e ci spinge a ripensarci. Vale più correre a perdifiato incontro all’amore senza nemmeno capirne la ragione e in un rotolare di sassi ritrovare anche solo per un momento il sorriso d’una felicità bambina. Oppure val più scappare per dar ragione a una paura ignota? Sentire nella distanza la propria salvezza e nella trasmutazione il definitivo abbandono. Val più voltarsi solo all’ultimo indietro e lasciare in una lacrima tutte le risposte e in un fruscio tutte le parole? Rimane un cespuglio di alloro della piccola ninfa spensierata Daphne. Un tremore indifeso all’ingiustizia e alle colpe altrui. Per la protervia di Apollo, per la vendetta di Amore e per quelle colpe che alle donne hanno sempre cercato d’addossare e che le costringono a scomparire.   Valerio Perla

Quel che rappresentiamo.

   Tutto giusto! Ciascuno cerca di rappresentarsi come meglio può, evidenziando i propri pregi, le proprie utilità e nascondendo il resto, il lato oscuro, le sgradevolezze, le brutture e le miserie. Tutto giusto! (?) Poi si ha a che fare col rutilante mondo social. Prendi un like e sei contento, ne prendi cento, wow!, Ne prendi mille, cinquemila, ventimila, super wow… Però, mi viene da pensare: Il paese dove vivo ha 15.000 abitanti. Un piccolo paesino d’una provincia che ne ha 420.000 di abitanti, in una regione (la Toscana) che, sempre di abitanti, ne ha 3.7000.000, in una nazione che ne ha 59.000.000. Uff! La relatività dei numeri dei social è imbarazzante. Mettiamo che prendo un megafono e vado in piazza e mi metto a urlare quello che le persone vogliono sentirsi dire, che so?: “Basta tasse”, “Più soldi per tutti”, “Benzina meno cara”. In un attimo, prima che arrivi la neuro, avrei tutti quelli a portata di megafono (centro storico… almeno 5/7000 persone) dalla mia. Super wow! Quant

Certi giorni.

    Certi giorni erano date. Certi giorni erano importanti per le persone che contavano per noi. Certi giorni contavano per amore. Poi, scomparse le persone, tornano giorni quelle date. Rimane la tessitura dei ricordi che, con la nitidezza d’una foto, ferma per sempre un tempo e fa sembrare squilibrati e vuoti i nostri giorni. È il peso dell’amore quello che trasforma in date i giorni e in nostalgia l’assenza. Auguri “Babo”.

La differenza.

  La differenza la facciamo noi tra semplificare e banalizzare, tra far silenzio e ascoltare, tra essere e apparire, tra il creder di capire e il non comprendere, tra convinzioni e stupidità. La differenza ci attraversa tra vendetta e giustizia, tra conoscenza e sapere, tra i fatti e le opinioni, nel peso specifico delle parole, tra sincerità intellettuale e ipocrisia.  La differenza sta tra la consuetudine e l’abitudine, tra vedere e guardare, tra volare e cadere, tra fare ed eseguire, tra il vivere e il sopravviversi. La differenza tra te e me, tra adesso e appena un secondo fa, tra quel che tu hai accettato e io no, tra quel che ho dato e quel che hai preso. Per altri la differenza è tra la vita e la morte, tra scappare e partire, tra futuro e presente, tra la fine e nessuna speranza. Per altri la differenza siamo noi. La differenza la fa chi sceglie, chi ragiona e pensa, chi partecipa nel lato giusto della storia e non nel più conveniente, non nel più orribile. La differenza è la s

La mia utopia necessaria.

  Il mondo è bellissimo, l’umanità, a volte, è abbastanza orrenda. In questa affermazione c’è una condanna: l’equilibrio che regge l’umanità, nei rapporti tra i popoli, è una pozza di sangue e di orrore. Il potere, l’accaparramento delle risorse e l’argine al potere altrui, sono e rimangono la centralità nelle tessiture diplomatiche tra nazioni. C’è una relazione tra questo e lo sdoganamento collettivo della violenza, della crudeltà? Oppure sono fenomeni in costante simbiosi? L’ultimo caso, quello di Prigozhin, è solo uno dei tanti. Intendiamoci: non ho nessun dispiacere per la sua fine, era un assassino a capo di un’organizzazione di assassini e al servizio di un altro assassino, ma il vedere tutte le diplomazie mondiali comportarsi come altrettante bande di assassini, non riesco ad accettarlo come normale. Non sono uno sciocco, ma voglio qui mettere l’accento sulla necessità della forza rivoluzionaria delle utopie e degli ideali. Gli ultimi decenni hanno subdolamente svuotato il sens

2 - Vasi comunicanti.

  La storia dell’Arte ci propone un gran numero di artisti che, in qualche modo, dominavano diverse arti. Basti pensare a Giorgione del quale si dice fosse un buon musicista, a Leonardo, Michelangelo, e (per me roba di cuore) soprattutto Caravaggio e Bernini. Mi ha sempre incuriosito il ricercare le tracce di queste “competenze” nelle opere di ognuno per potere quindi ritrovare gli “effetti collaterali” d’una visione artistica. Per un musicista la questione è essenziale. Come si forma un musicista e soprattutto perché? Il primo passo è l’attrazione irresistibile e misteriosa per lo strumento, per quei suoni e in certi casi, per l’ambiente, i personaggi. Quindi il primo passo è la pura passione e curiosità . Arrivano poi i rudimenti. Ovvero l’alfabeto essenziale (gli accordi, la tecnica di base dello strumento, la lettura musicale) e un ascolto sempre più mirato. In questa fase si va per imitazione Quindi il secondo passo è l’acquisizione della disciplina di studio e l’ affinamento de

1 - Suonare, serve a scrivere, (a lavorare) meglio?

    Alcune scelte di vita sono totalizzanti; quando va bene: riempiono il nostro punto di vista e ci donano la tanto ambita visione laterale, lo stimolo allo sviluppo di una forma mentis divergente. Quando va male però è come se saturassero la nostra capacità di osservare e accettare la diversità, regalandoci invece quella cecità empatica tanto cara a questi tempi narcisi. Faccio il musicista professionista da quarant’anni e insegno da trenta e in questa serie di post vi racconterò perché ritengo la musica, la storia della musica e la “disciplina” inerente l’approccio alle arti, importantissima per: Parlare in pubblico Aiutare la ( tua, nostra) scrittura Innalzare il livello di empatia sino a percepire in anticipo le necessità altrui Accrescere l’armonia nel lavoro in team Sviluppare la creatività e il pensiero strategico Allargare il proprio orizzonte cultur

Questione di identità

Questione di identità Che succede? Di chi son figli questi giovanissimi mostri che stuprano e uccidono? Questi branchi di bestie che dimostrano un vuoto interiore siderale e un livello culturale e intellettivo imbarazzante persino tra i maiali? Che scuole hanno frequentato, che ambienti, che futuro immaginano? Che succede col terrore della diversità, le paranoiche ossessioni complottiste, i deliri antiscientifici, la xenofobia e il razzismo così diffusi? Che succede con l’ignoranza e la diffusione oramai capillare dell’analfabetismo funzionale? Che succede con questa paurosa regressione sociale (e intellettiva) oramai sotto gli occhi di tutti? Mi sto convincendo che tutto questo sia solo un fiorire di sintomi, sicuramente di concause, ma la “malattia” è altra e viene da molto lontano. 
Sono del 1967 e non del ’27! Mio padre era del ’28, mia madre del ’37.
 Tuttavia, certe cose, stento  a comprenderle. Cosa ricordo del mio passato, della mia formazione, qual é la differenza con l’oggi e

La sconfitta della bellezza.

Ricordo bene quei vecchi contadini, la notte tra il quattordici e il quindici di agosto, alzare il bicchiere e dire: “Alla bellezza!”. Ricordo bene il senso universale e semplice di quella dedica, la sua sacrale essenza profana, il sapore dialettale, pungente e aspro, di quel vino.   L’arte, e quindi la bellezza, erano in quelle vite canto e ballo, una vertigine di endecasillabi e strambotti cantati sulla cadenza ipnotica di un tamburo. La bellezza era per loro, il barocco mozzafiato d’una cattedrale, l’immagine d’una madonna, la bellezza eterna d’ogni mamma e ancora un’alba, un fiore, un sorriso. Sempre, la bellezza, è un’indicazione del divino (quello senza nome, infinitamente incomprensibile). La bellezza è conseguentemente un suggerimento incomprensibile. L’arte, allora, è un tentativo, di spingersi appena un po’ più in là, nella comprensione, nello sforzo, tutto umano, di superare la propria condizione, come il gesto di Adamo verso dio, nel “Giudizio universale” di Michelangelo; q