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Quel che non sappiamo.

 


Quel che non sappiamo e, ancor peggio, quello che presupponiamo di sapere, ci domina e inquina. Maledizione!
“So di non sapere” pare dicesse Socrate, un paradosso potentissimo, che ribolle di autoironia e quindi di intelligenza sottile e acuminata.


Uhhh quanto ci prendiamo sul serio alle volte!
Con le nostre convinzioni granitiche, con la necessità di costruirci l’altarino dal quale bacchettare sentenze e incolonnare i buoni e i cattivi, il giusto e lo sbagliato.
Mettiamoci anche il carico degli anni che ci illude che tutto abbiam già visto e tutto comprendiamo…


Che pretese di sapere ci hanno inculcato? A quali insicurezze abbiamo permesso di dominarci così tanto? Quali sono i cattivi maestri (quelli sì da scrivere sulla lavagna!) che sono scivolati, che hanno disatteso, frainteso e infine annichilito i nostri talenti, le nostre possibilità? La nostra inestimabile “Recherche”.

Ho troppi anni addosso per non vedere alle mie spalle tutte le certezze naufragate e trasformate, i fecondi cambi di programmi, i salvifici abbandoni. Sono cintura nera di narcisismi ed egoismi, subiti con la violenza di Achille o con l’astuzia di Ulisse e ancora adesso credo che il poco sapere accumulato dall’esperienza mi possa permettere di prevedere, che possa far da argine alle sgradevolezze del vivere. 

Sorrido.

Da bambini si è aperti al mondo e lo stesso pare accoglierti con la grazia del suo meglio. Succede perché quel mondo è mediato dall’amore dei propri genitori, di chi si prende cura di noi. Poi, la nostra natura umana, tra i venti degli ormoni, degli orgogli e delle convinzioni, ci impone la guerra come trattato. Cominciamo così, con regole più meschine, a regolare le dimensioni e i confini del nostro mondo. Diventiamo questo o quello mentre ci attacchiamo addosso i nostri saperi come bandiere al vento acciocché presentino, senza parole, le nostre schiere.
 Si torreggia per un po’ dalle nostre collinette fatte castello e rocca, e poi ci s’accorge, o si dovrebbe accorgersi col passare degli anni, che il mondo è grande per davvero e che la bellezza non deriva da quella collinetta o da quella bandiera, ma che risuona in un paesaggio, in un insieme; ché un boschetto in una desolazione o un letamaio in paradiso sono un tradimento, un cieco intestardimento, fuori dal tempo e dalla ragione.

Allora, mi convinco, dell’essenzialità dell’ascoltare, del comprendere magari senza sentire l’impellenza del parlare, dell’amare chi è migliore e del farsi contaminare dal suo sapere. Mi convinco che la forza sta nell’unione e non che la forza di uno possa bastare. Che l’intelligente consapevolezza relativa di non sapere, è l’alimento essenziale per un dialogo e quindi di un domani.

Sarà per questo che con gli anni ho imparato a diffidare dei “saponi” e amo sempre più i professori e i maestri quelli veri, gli scienziati curiosi e fragili, gli splendenti ricercatori e gli appassionati illuminati.


Quel che non sappiamo dovrebbe diventare luce per non farci divorare dal buio delle nostre sciocche convinzioni.


Vi torna?

Valerio Perla

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