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La giusta distanza

 

Le immagini delle guerre sono sempre le stesse. Ci sono uomini e donne a cui è stato insegnato a uccidere, come macchine come automi, che a distanza di chilometri premono un bottone e poi si complimentano felici. Good Job! E sorridono con le zanne scintillanti. Ci sono paesaggi lunari devastati dalle esplosioni e foto di militari super equipaggiati perché con milioni di dollari spesi per uccidere sempre meglio anche l’occhio vuole la sua parte. Ci sono le foto delle esplosioni, di globi di fuoco immobili e quasi belli. Carri armati, aerei e dichiarazioni, parole e ancora parole sempre più vuote e false.

Si scendesse dai telefonini, si scoprisse d’esser lì, si verrebbe annientati dal rumore. Quello dei missili, delle bombe delle urla disperate di chi si regge gli intestini e implora di morire. Le urla di un padre disperato con in braccio un piccolo fagotto avvolto in un lenzuolo insanguinato che implora un impossibile aiuto. Gli ospedali sono pieni, la corrente elettrica non c’é e nemmeno i medicinali. Non c’é acqua potabile in quell’inferno che vomita dalla paura e il terrore è un odore che invade le carcasse distrutte dei palazzi, che si aggrappa agli occhi dei bambini. Si squarcia l’aria e la terra e la mamma e il papà non ci sono più, la casa non c’é più e nemmeno la via. La notte è un susseguirsi di lampi e di boati e trema la terra senza fine.
C’è il tanfo della morte a Gaza, anche di notte, che le senti le macerie impastate di sangue putrido, mentre i topi banchettano, mentre non sai dove rifugiarti, dove scappare. Che daresti la tua vita per il figlio che stringi addosso, ché almeno lui si potesse salvare, che davvero esistesse un dio o una giustizia qualsiasi nel mondo.

Non c’é linea telefonica in quell’inferno e nemmeno internet e per fortuna non puoi sentire addosso anche la vagonata di merda dalle bocche del mondo riversarsi su di te.
Parlano di diritti, di missili intelligenti, di risposta proporzionata:  “Neghiamo di aver usato il fosforo bianco”, “ Le democrazie forti non colpiscono  civili”, “Sono sicuro che la reazione israeliana sarà proporzionata”, “Se la sono cercata”.

In quella striscia di terra vivono ammassate più di due milioni di persone. Ma poi ti avvicini e capisci che a Gaza il 47% per cento della popolazione, quindi circa un milione, hanno tra gli zero e i quindici anni. Bambini. Quelli che chiamiamo futuro, quelli che dovrebbero passare il tempo a giocare felici.

Quindi cominciamo a capire che a Gaza un 50% della popolazione, un milione su due milioni, non ha nessuna colpa se non quella di essere nata palestinese. Tutti gli altri sono assassini? Non credo proprio.
Ma tu che appartieni a quel 70% di popolazione che con quella guerra non c’entra niente non puoi nemmeno capire, provare a spiegare, anche solo parlare. È arrivato l’ordine di evacuare metà città. Per andare dove? Nell’inferno dell’altra metà. Così si condensano due milioni di persone in metà spazio e più semplice è far morire.

Un bottone premuto. Good Job!
Altri cinquecento bambini trucidati…
Tanto ce ne sono un milione chi vuoi che li conti quegli animali?

Poi, quando ritorni alla “giusta” distanza, fattela una domanda di chi è l’animale.

G
M
T
Y
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