Passa ai contenuti principali

1 - Suonare, serve a scrivere, (a lavorare) meglio?

 


 Alcune scelte di vita sono totalizzanti;

quando va bene: riempiono il nostro punto di vista e ci donano la tanto ambita visione laterale, lo stimolo allo sviluppo di una forma mentis divergente. Quando va male però è come se saturassero la nostra capacità di osservare e accettare la diversità, regalandoci invece quella cecità empatica tanto cara a questi tempi narcisi.

Faccio il musicista professionista da quarant’anni e insegno da trenta e in questa serie di post vi racconterò perché ritengo la musica, la storia della musica e la “disciplina” inerente l’approccio alle arti, importantissima per:

  • Parlare in pubblico
  • Aiutare la ( tua, nostra) scrittura
  • Innalzare il livello di empatia sino a percepire in anticipo le necessità altrui
  • Accrescere l’armonia nel lavoro in team
  • Sviluppare la creatività e il pensiero strategico
  • Allargare il proprio orizzonte culturale e creativo

Cominciamo da qui: Cosa significa essere un Musicista?

Significa aver acquisito una conoscenza e una pratica di strumento, certificata o no, di altissimo livello che permetta di padroneggiare questo o quel repertorio musicale a diversi piani interpretativi.

Basta questo per essere un artista? No.

Ci vuole tanta esperienza, quella che un tempo si chiamava “gavetta”, che facendoti frequentare ambienti e gruppi, produzioni e compagnie diverse, ti permette di “capire al volo” le dinamiche (le necessità del regista, del produttore, dell’artista principale) e di adeguare la tua tecnica alle stesse.

Basta questo? No.


Il musicista non può essere il clone (anche straordinario) di nessun altro. La sua originalità è data dalla riconoscibilità del (suo) suono e del (suo) approccio agli arrangiamenti, dalla solidità di accompagnatore e la capacità di svettare nei solisti.

Basta questo, allora? Ni.

Per avere la possibilità di suonare, per esempio, con la danza contemporanea o per il teatro o per le performance di arte moderna o per qualunque assurda e meravigliosa terra di confine, devi leggere tantissimo (davvero tanto), soprattutto di letteratura e di poesia, avere negli occhi e nell’anima, le opere di grandi artisti, di fotografi, coreografi e ballerini e cercare di tradurre tutto questo nel nostro presente.


Tu che ne pensi? Nella tua professione qualcosa risuona?

Commenti

Post popolari in questo blog

Ragazzacci

  Certe età sono schive come animali selvatici. Per me, senza figli, gli unici osservatori possibili sono l’insegnamento e qualche amicizia, le persone, certe preziose e alcune pericolose. Ho un’ammirazione sovrumana per molti amici genitori e quando vedo quel che costa la battaglia quotidiana che affrontano per amore, mi sciolgo. Sarà che (per me) le parole sono importanti, chi poi, psicologi e insegnanti, guarisce e fa crescere le persone con, appunto, la sola forza delle parole, ha il mio incontrastato amore. I ragazzi vivono un mondo a loro fortemente ostile, un oggi narcisista e paranoico, saccente, ignorante e presuntuoso, ladro e infame, che a ogni passo propone un tutorial sulla “giusta” maniera per risolvere le cose. Alla fine, c’è sempre qualcuno al mondo che gli/ci toglie la preziosa illusione di essere i migliori, la personalissima progressione necessaria per cercare di esserlo. Tutto è diventato pericolosamente binario: vincenti/perdenti, bianchi/neri, g...

Inutili file

Fossero stati i nostri padri o i nostri figli e figlie sotto quelle bombe cosa avremmo fatto? Contro gli stati più spietati e armati del pianeta, contro “l’appoggio incondizionato” di tutti gli altri occidentali, cosa avremmo fatto? Cosa avremmo fatto con i nostri figli che piangono disperati senza acqua e senza cibo, con le bombe che cadono continuamente, in una guerra tra Hamas e Israele che, a noi palestinesi moderati, non ci riguarda, cosa avremmo fatto? Io avrei fatto la cosa più sconvolgente e dolorosa di sempre: avrei raccolto i cadaveri dei duemila bambini uccisi e, avvolti nei piccoli sudari bianchi, li avrei depositati in una lunga fila al confine, davanti ai loro assassini. Solo dei bambini quella fila sarebbe stata lunga due chilometri (Duemila metri! Bestie maledette!) ma se ci aggiungessimo i civili incolpevoli, quello straziante sentiero raggiungerebbe i cinque/sei chilometri. Dalla parte opposta a quell'infame muro aggiungerei il chilometro e mezzo di morti israelia...

La sconfitta della bellezza.

Ricordo bene quei vecchi contadini, la notte tra il quattordici e il quindici di agosto, alzare il bicchiere e dire: “Alla bellezza!”. Ricordo bene il senso universale e semplice di quella dedica, la sua sacrale essenza profana, il sapore dialettale, pungente e aspro, di quel vino.   L’arte, e quindi la bellezza, erano in quelle vite canto e ballo, una vertigine di endecasillabi e strambotti cantati sulla cadenza ipnotica di un tamburo. La bellezza era per loro, il barocco mozzafiato d’una cattedrale, l’immagine d’una madonna, la bellezza eterna d’ogni mamma e ancora un’alba, un fiore, un sorriso. Sempre, la bellezza, è un’indicazione del divino (quello senza nome, infinitamente incomprensibile). La bellezza è conseguentemente un suggerimento incomprensibile. L’arte, allora, è un tentativo, di spingersi appena un po’ più in là, nella comprensione, nello sforzo, tutto umano, di superare la propria condizione, come il gesto di Adamo verso dio, nel “Giudizio universale” di Michelangel...